Sono pieno di voci e di colori

che hanno giurato di accompagnarmi fino alla morte

di Andrea Sardi

CAFE’ DOMINGUEZ – Comunque sia stato il nostro peregrinare su questa Terra, ricco di soddisfazioni e di successi o un’esperienza grama, il suo concludersi non sarà poi diverso: ad ogni modo ce ne andremo.

Se ne avremo il tempo, torneranno a trovarci i ricordi, frammenti di vita vissuta. A volte consumati da ripetuti racconti, a volte dimenticati, avvolti e protetti dalla nebbia del tempo e per questo rimasti vividi di colore, di emozioni, vibranti di dettagli. Li porteremo ancora un po’ con noi, quei ricordi, come i granelli di sabbia e di sale sulla pelle, dopo quella giornata di mare. Poi si perderanno, con noi, per sempre.

Ma anche senza arrivare a quell’estremo momento, cosa ci resta già oggi di ogni giorno vissuto, di ogni amore appena iniziato o per sempre perduto, di ogni gioia o dolore, di ogni viaggio nel mondo esteriore o interiore? Collage di immagini, frammenti di suoni, schegge di colori, caleidoscopio di particolari che formano il ricordo. Oppure un solo straziante, vivido dettaglio.

Trecce, seta dolce delle tue trecce, luna in ombra della tua pelle e della tua assenza. Trecce che mi legarono al giogo del tuo amore, giogo quasi soffice del tuo sorriso, della tua voce… Trecce dal colore del mate amaro, che addolciscono il mio torpore grigio …” [Trenzas, Tango 1945, Música: Armando Pontier, Letra: Homero Expósito].

Ci innamoriamo dei dettagli.

“… Amava di lei i polpacci di fanciulla, la camminata un po’ sbilenca _ chissà perché incrociava lievemente il piede destro all’interno _ il movimento delle mani quando scriveva al computer, sollevate dalla tastiera e per un attimo immobili, quasi dovesse ogni volta scegliere una lettera dal posto mutevole, cercandola, indugiando e poi d’un tratto irrompendo in un torrente di battute. Amava di lei le particolari posture che prendeva a seconda del momento, e provava sgomento quando lei teneva la testa reclinata verso il basso e lo fissava in silenzio, aggrottando la fronte, senza dire parola…” [“Narkissos”, Andrea Sardi, 2020 (in press)].

Sono quei dettagli che ci legano inesorabilmente alla persona adorata. Alla sciocca domanda “Perché mi ami?” piuttosto che infilare un insulso elenco di virtù, non dovremmo sinceramente parlare di questi piccoli tiranni del nostro cuore, così forti da tenerci incatenati all’oggetto d’amore, anche contro il nostro stesso volere?

“… Se il suo amore era solo il fiore di un giorno, perché mi causa ancora questa crudele angoscia? Alzo il calice per entrambi per dimenticare questa mia ostinazione e tuttavia la ricordo ancor di più. Nostalgia della sua risata sciocca, sentire vicino alla mia bocca come un fuoco il suo respiro… Angoscia di sentirmi abbandonato e pensare che un altro al suo fianco presto… le parlerà d’amore…”. [Nostalgias, Tango 1936, Música: Juan Carlos Cobián, Letra: Enrique Cadícamo]

Avrebbe potuto dire nostalgia della sua intelligenza brillante, no? E invece nostalgia della sua risata sciocca, un modo particolare di ridere che racchiude in sé il senso di un amore pieno di contraddizioni, di contrasti, forse per questo finito. Un odi et amo che inesorabilmente ancora ci lega a lei che non c’è più.

Poi i luoghi dove quest’amore è nato, dove s’è consumato sublimando in un ricordo, ancora un quadro acceso e mutevole, intreccio di profumi e suoni, ancora pennellate di colori, dettagli che rendono ancor più reali le immagini.

“… San Juan e l’antica Boedo, e tutto il cielo, Pompeja e più in là la distesa d’acqua. I tuoi capelli di ragazza, nel ricordo e il tuo nome che sboccia in un addio. L’angolo del fabbro, fango e pampa, la tua casa, il tuo marciapiede e il fossato, e un profumo di gramigna e di erba medica che mi riempie di nuovo il cuore…” [Sur, Tango 1948, Música: Aníbal Troilo, Letra: Homero Manzi]

Dallo scenario esteriore, dove spicca la sua casa, quella dell’amata, si passa all’interno dell’appartamentino, l’alcova, il nido, che in Mi noche triste è quello dello stesso poeta, che all’amata lo ha reso accessibile, lasciandola entrare nella sua intimità più profonda, arrendendosi totalmente all’amore, rendendosi ancor più vulnerabile: quando lei scompare per sempre, lo condanna a convivere con la sua assenza.

Non ci sono più, nell’appartamentino, quelle belle boccettine, ornate con i fiocchetti tutti dello stesso colore. Lo specchio è appannato e sembra che abbia pianto, per l’assenza del tuo amore. Di notte, quando mi corico non posso chiudere la porta, perché lasciandola aperta, spero sempre che tu torni…” [Mi noche triste (Lita), Tango 1916, Música: Samuel Castriota, Letra: Pascual Contursi]

Nella solitudine di una notte d’ospedale, attendendo il suo momento finale, Homero Manzi scrisse: “Sono pieno di voci e di colori, che hanno giurato di accompagnarmi fino alla morte, come amanti rassegnate al breve passo della mia eternità… Sono pieno di voci e di colori, a volte raccolti durante il sonno nella notte, altri, inventati dalla mia solitudine…” [Definiciones para esperar mi muerte, Tango, 1951, Letra de Homero Manzi]. Telefonò ad Aníbal Troilo una di quelle ultime notti e insieme composero Che bandoneón, un’invocazione alla voce del bandoneón, voce della Morte stessa che accompagna in sottofondo il nostro vivere, ci esorta a cogliere ogni momento come fosse l’ultimo, ad assorbire con ogni poro della pelle e dell’anima la bellezza della Vita, sia come sia, la sua intensità, a percepire ogni sfumatura, ogni dettaglio come manifestazione della sua più profonda essenza.

“… La tua canzone è l’amore che non è stato dato, è il cielo che una volta sognammo, è l’amico fraterno che affondò travolto dalla tempesta di un amore. E quella tremenda voglia di piangere che a volte ci inonda senza ragione, è il sorso di liquore che ci costringe a ricordare se l’anima è distratta, dè bandoneón…” [Che bandoneón,Tango 1949, Música: Aníbal Troilo, Letra: Homero Manzi].

E’ in questa consapevolezza della Morte e dell’effimero che prende vigore la passione con cui ci attacchiamo alla vita e all’amore che le da origine, sacro e profano ad un tempo.

“… Palpitare di occhi neri, dietro una mascherina di velluto, fuggiti da un madrigale, cantato da labbra carminio che resero felice il mio vivere. Mascherina così sognata, ragazzina del mio quartiere, donna della mia vita, eri la mia principessa e umile schiavo fui sempre della tua superbia…” [Viejos tiempos, Tango 1935, Música: Carlos Gardel, Letra: Alfredo Le Pera].

Un amore che nella sua componente sacrale afferma la vittoria dello Spirito sulla Morte, alimentando una speranza e una proiezione ultraterrena anche in chi non ha il supporto della Fede e che nella componente erotica, sensuale, vede il prevalere dell’Io mortale sul decadimento la corruzione della carne.

“… La mia ragazza era un fiore selvaggio, più bella di una giornata di sole dorata. Trecce annerite, uno sguardo che seduce, bocca palpitante di fuoco e amore. Per conquistarla, ho rischiato tutto. Non valeva la pena vivere senza di lei …” [Recuerdo malevo, Tango 1933, Música: Carlos Gardel, Letra: Alfredo Le Pera].

A volte mi dico che l’intensità del Tango deriva proprio da questo contrasto, irraggiungibile nella sua essenza solo ricorrendo alla pura razionalità, anche se qui mi tocca aggrapparmi in parte a quella, per tentare di raccontarlo: il contrasto tra la forza distruttrice di un Fato avverso, e quella creatrice dell’Amore. Il contrasto tra l’energia della Morte che tutto consuma e quella dell’Eros che, alimentandosi di piccoli dettagli, resi incorruttibili e immortali dall’Amore e dalla Poesia, le si oppone.

Così qualunque sia stata ad ora la nostra vita, ricca di soddisfazioni e di successi o un’esperienza grama, non lasciamoci scoraggiare e riprendiamo il nostro sogno là dove s’era interrotto.

“… In questa notte torno ad essere quel ragazzo sognante che ti ha saputo amare e con i suoi versi ti ha dedicato la sua pena… C’è una voce che mi sussurra all’orecchio: “So che sei venuto per lei… per lei!”. Quanto è tenera e triste allo stesso tempo la solitudine della periferia, con le sue casette e gli alberi che dipingono le ombre… “ [Bajo un cielo de estrellas, Vals 1941, Música: Enrique Francini / Héctor Stamponi, Letra: José María Contursi].

Il Tango mi accompagna, in questo mio viaggio, mi accoglie, mi fa ricordare consolandomi, a volte, mi fa sognare e sperare, altre. Mi invita, sempre, a vivere intensamente il presente.

Il tango è un porto amico dove s’ancora l’illusione. L’emozione si culla al ritmo della sua danza. Di notte, con la luna, sognando il mare, il suo ritmo raccoglie quello delle onde. Balliamo questo tango, non voglio ricordare. Una nave salpa domani, forse non tornerà…” [Mañana zarpa un barco, Tango 1942, Música: Lucio Demare, Letra: Homero Manzi].

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